lunedì 30 agosto 2010

E' arrivato il circo

Il riavvicinamento di Gheddafi al consesso internazionale è senz'altro un successo della diplomazia italiana e, in particolare, di Berlusconi.
Molto meglio oggi piuttosto che avere una Libia che semina terroristi per il mondo (magari poi i servizi segreti combineranno ancora qualcosa con Hamas, ma atteniamoci alle posizioni ufficiali).

Mi pare però che ci siamo fatti prendere un po' la mano... ci sono gradi intermedi, e un po' più diplomatici, tra lo sdogamanento e il diventare amiconi. Avere il tendone - un po' circense - del Colonnello a Roma quattro volte l'anno, con tutto il carrozzone (con costi non indifferenti) e lo show di ritardi, conversioni, amazzoni e quant'altro mi sembra eccessivo, anche perchè sulla democrazia libica ci sarebbe parecchio da obiettare. Perchè Gheddafi queste cose la fa solo da noi e non va, che so, a Berlino o a Parigi?
E poi propongo che la prossima volta che Berlusconi va in Libia si porti un vescovo, oppure don Verzè, che predichi il Vangelo e battezzi tre persone...

Intendiamoci, la politica estera tante volte si tura il naso e fa accordi con i dittatori, basta pensare a quello che combina il mondo intero con la Cina. Di solito però questo accade quando gli altri hanno il coltello dalla parte del manico, come la Cina per l'economia: nessuno infatti va a fare accordi con Kim Yong-Il, anche se non è che i cinesi siano poi tanto diversi da lui.
Questo vuol forse dire che Gheddafi, come dice un mio collega con un francesismo, "ci tiene per le palle"?

p.s. ...tutto il can can... non vi richiama l'Imperatore Bokassa?

domenica 29 agosto 2010

Aveva ragione l'Arrighe

...umiltè, ci vuole! ;-)

Oggi durante la Messa il parroco stava commentando il Vangelo, in cui Gesù narra due parabole sull'umiltà e sul disinteresse (Lc 14,1.7-14). Don Renato ha esordito chiedendosi se oggi l'umiltà sia ancora un valore. Lì la mia testa ha cominciato a vagare, e mi sono chiesto come si declini l'umiltà in politica, quando si è magari in un ruolo di responsabilità, di "potere".
Essa non può essere certo la rinuncia a questo potere, l'abdicazione alle prerogative, specie se democraticamente assegnate: questo somiglierebbe di più a non coltivare i propri talenti, per citare un'altra parabola. Credo che il concetto si possa esplicare nel non essere convinti, poichè si "comanda", di avere sempre ragione, di avere la verità in tasca; nell'essere quindi aperti a correzioni e anche ripensamenti.

La seconda parabola invece invitava a invitare a pranzo i poveri, non chi poi può garantire un tornaconto. Niente cene con gli amici degli amici, con gli Anemoni, con i Flavi Carboni, insomma... Invece un politico dovrebbe "andare a cena" con la gente "normale", magari quella che l'ha eletto, per ascoltare i problemi, le necessità, e magari esercitare la sua responsabilità per cercare di rispondere alle esigenze (legittime).
In particolare, il politico che ha potere ha la responsabilità di "dare da mangiare" ai poveri e agli ultimi, con interventi assistenziali se proprio necessario, ma soprattutto cercando di garantire le opportunità, di sbloccare l'ascensore sociale.

Tutto questo secondo me, senza pretendere di avere la verità in tasca... ;-)

venerdì 27 agosto 2010

La legge sì la legge no, la legge fantasma

Nel post precedente evidenziavo la necessità, secondo me, di mettere mano con urgenza alla legge elettorale.

Ma come? Io sono sempre stato un proporzionalista convinto: il proporzionale è il metodo più democratico, più "rappresentativo", che fotografa meglio la composizione del corpo elettorale, e questo è idealmente il meglio in un sistema parlamentare, in cui il Parlamento, "specchio" del Paese, sceglie i governi: in teoria, con una perfetta rappresentatività, qualsiasi governo abbia una maggioranza in Parlamento rappresenterà una maggioranza di elettori. Il proporzionale è spesso il sistema scelto dalle democrazie "giovani", come l'Italia e la Germania del dopoguerra, perchè espone meno a tentazioni autoritarie. Il nostro sistema ha una Costituzione pensata in questo modo.

Negli anni, però, il nostro proporzionale ha mostrato la corda, afflitto dalle divisioni e dal prolificare dei partitini. Molte democrazie, maturando, passano al maggioritario, che garantisce di solito una maggiore stabilità a fronte di un vulnus di rappresentatività: il Parlamento non rappresenta più il Paese in rapporto 1:1, ma ci sono parlamentari eletti con un premio di maggioranza, in sovrappiù rispetto al voto. E' questo che lega a doppio filo la maggioranza parlamentare e i nomi degli stessi eletti al risultato della consultazione elettorale, senza essere più indifferenti alle coalizioni (alcuni parlamentari sono in emiciclo solo perchè appartenenti a una coalizione: con gli stessi voti, se appartenenti ad una diversa coalizione, non sarebbero stati eletti). E' questo, quindi, che rende "eticamente" discutibili i "ribaltoni" in Parlamento con cambi di maggioranza durante una stessa legislatura.

In Italia dal 1994, sulla spinta di un referendum, si vota con il maggioritario: perchè non ci sono stati gli effetti di stabilizzazione del quadro politico da molti auspicati? In parte è colpa del fatto che il maggioritario italiano non è mai stato puro, ma corretto con quote proporzionali (il Mattarellum): alla Camera il 25% dei seggi erano assegnati su base proporzionale, infatti si votava con tre schede, alle Politiche: Senato, Camera maggioritario, Camera proporzionale. Questo permetteva a tutti i partitini di piantare la propria "bandiera", di contarsi, di entrare in Parlamento e quindi di fare la voce grossa, in altre parole di esistere e anzi proliferare. Visto che nel maggioritario vince chi prende un voto in più, è diventato necessario costruire coalizioni il più ampie possibili, comprendendo cani e porci e attribuendo un notevole potere di ricatto ai partitini.
Altro fatto è stato l'attrito tra il parlamentarismo costituzionale e l'intrinseco "premierato" insito nel maggioritario: votando una o l'altra coalizione di quelle formatesi per la competizione elettorale si sceglieva anche un leader, che giocoforza sarebbe stato il primo ministro indicato dal Capo dello Stato, ma questo non ha impedito vari cambi di governi anche con la stessa maggioranza. Del maggioritario si è ottenuta quindi la parte negativa (la personalizzazione dello scontro, per esempio) senza avere quella positiva (ci siamo tenuti miriadi di partitini).

Dal 2006 poi si vota con una legge elettorale unanimemente considerata oscena, ovvero il Porcellum, nato per cercare di accontentare alcune richieste dei vari partiti di maggioranza di allora (FI, AN, Lega, Udc). L'Udc richiedeva fin dai tempi della "verifica" e del cambio di governo un sistema proporzionale. Fini non avrebbe rinunciato al maggioritario. FI non voleva le preferenze, di solito connaturate al proporzionale, perchè viste come la "vecchia politica" e per gli oggettivi problemi che possono ingenerare (voto di scambio, impennata dei costi delle campagne elettorali, che diventano anche personali e non solo di partito). Si partorì così il Porcellum: nominalmente un proporzionale, ma con premio di maggioranza; con sbarramento, ma molto basso per i partiti in coalizione e alto per quelli esterni; senza preferenze, ma con un orrendo meccanismo a liste bloccate che rende i parlamentari nominati e non eletti. Inoltre per evitare l'incostituzionalità fu necessario spostare l'assegnazione del premio di maggioranza al Senato da base nazionale a base regionale (come previsto espressamente dalla Costituzione, che anche qui si dimostra non pensata per un sistema maggioritario), il che annulla di fatto il vantaggio per la governabilità dato dal maggioritario (se i premi di maggioranza regionali si compensano che si fa? E' quanto successe nel 2006 all'Unione prodiana).

Che fare allora? Io resto per il proporzionale. Il modo per eliminare i partitini non è il maggioritario in sè, che semmai li aggrega in coalizioni ma non li elimina, ma inserire uno sbarramento elevato e non derogabile per l'ingresso in Parlamento, come in Germania: il 5%.

Un problema che a volte si incontra è che una volta entrati in Parlamento i partiti si dividono. Qui è una questione di regolamenti: io vieterei la creazione di gruppi parlamentari autonomi se non collegati a liste presentate alle elezioni, almeno fino a metà legislatura (poi con gli anni in effetti è possibile che il panorama politico cambi). Non mi è piaciuto nemmeno quel che fece Di Pietro nel 2008, che in campagna elettorale disse che avrebbe fatto gruppi parlamentari uniti al Pd, per poi cambiare idea una volta visto il successo elettorale. Ancora quest'abitudine a contarsi e poi decidere... tra l'altro accedendo a parecchi soldi pubblici in sedi, segretari eccetera. Bella coerenza!

Per la scelta del primo ministro, io sono dell'idea che non sia necessario farla nelle urne, almeno finchè non si cambia la Costituzione. Non trovo scandaloso che il primo ministro sia scelto dal Parlamento: se eleggo i deputati, dò loro fiducia e gli affido la scelta.

Vedo in effetti i rischi della reintroduzione delle preferenze, quelli citati prima. Questo è il punto su cui ho più dubbi, non mi dispiaceva l'uninominale del Mattarellum, in cui la campagna personale coincide con quella di partito,ma l'uninominale va a braccetto con il maggioritario, e crea problemi se un elettore di un partito vede candidato nel suo collegio un candidato che ritiene non valido: con le preferenze può scegliere un altro, con l'uninominale deve turarsi il naso.
Visto che usciamo da due votazioni con i parlamentari "eletti" dai capi partito, un'oscenità, per ora l'emergenza è quella della rappresentatività, quindi andiamo ancora con le preferenze. Soluzione di riserva è copiare in toto il sistema tedesco, che "conta" i seggi da assegnare secondo il proporzionale con sbarramento e sceglie gli eletti tra i vincitori dei collegi uninominali (semplificando molto).

Non capisco invece la passione di molti esponenti, specie di sinistra, per il doppio turno: a me pare un gran spreco di denaro. Forse è per via della presunta migliore capacità della sinistra di mobilitare gli elettori per i ballottaggi, quando vota di solito poca gente? Secondo me visto l'andazzo astensionistico degli ultimi anni non è nemmeno così vero, quindi consiglierei di rivedere la posizione...

giovedì 26 agosto 2010

Caro amico ti scrivo...


...così si distrae un po'.
La lettera di Bersani pubblicata oggi su Repubblica è interessante, perchè fa chiarezza su alcuni punti (non tutti, e chiarezza relativa, come vedremo).

Sono molto d'accordo con la parte in cui chiarisce che in caso di fallimento della maggioranza, il tradimento degli elettori è da imputarsi alla maggioranza (che poi discuterà al suo interno su quale parte di essa debba addossarsi la colpa) e non all'opposizione, all'eventuale governo tecnico, a Napolitano, alla Cia, agli Ufo, a Paperino o a Veronica Lario.

La prospettiva di un governo tecnico mi trova d'accordo, anche senza il vincolo di Casini "non contro Berlusconi", pur vedendo i problemi rispetto al responso elettorale. Sono d'accordo a un patto: che sia un governo a brevissima scadenza, e predeterminata, solo per fare la legge elettorale. Bisogna che le forze costitutive abbiano il coraggio di dire: "Un governo di 3 (o 4, o massimo 6) mesi. Non un giorno di più. In data X, qualsiasi cosa accada, noi toglieremo la fiducia ad ogni governo possibile e si andrà ad elezioni.", e il coraggio di farlo davvero. Se si sarà fatta la legge elettorale, bene; in caso contrario (probabile, visto che non c'è accordo sulla legge elettorale da scrivere) si andrà a votare ancora con il Porcellum, e le forze del governo tecnico se ne assumeranno la responsabilità. Prospettiva rischiosa, quindi, e non so quanti vorrebbero assumersi il rischio...

Sulle prospettive in caso di elezioni, il Bersani-pensiero si fa più fumoso. Sempre meglio comunque della ridda di voci PD dei giorni scorsi... Sono d'accordo con la "legislatura costituente": il Paese ha gran bisogno di riforme vere, profonde, strutturali (mercato del lavoro in primis, sindacato da costituzionalizzare, sistema fiscale, giustizia, magari anche un federalismo pensato bene). La formula tra l'altro non è nuova, se ne sentì parlare anche all'inizio di questa legislatura, e bene avrebbe fatto Bersani a rimarcarlo e a sottolineare il fallimento berlusconiano al riguardo con la più ampia maggioranza della storia.

Due dubbi:


  • - non è chiaro il discorso dell'alleanza "che può assumere, nell'emergenza, la forma di un patto politico ed elettorale vero e proprio, o che invece può assumere forme più articolate di convergenza che garantiscano comunque un impegno comune sugli essenziali fondamenti costituzionali e sulle regole del gioco". Il primo caso somiglia pericolosamente all'Unione, accozzaglia di cose diverse che litigano dopo un anno; il secondo caso somiglia sinistramente a qualcosa che non avrà la maggioranza.


  • - per fare le riforme "condivise" servirebbe una piattaforma comune... Bersani scrive "verso una repubblica in cui alternanza e bipolarismo assumano la forma di una vera fisiologia democratica". Siamo sicuri che Casini sia d'accordo?... secondo me non è impossibile, ma ci vuole pazienza e lungimiranza da parte di entrambi.


E' interessante la disamina sul berlusconismo come "sistema", che ha fatto molti danni al Paese. Soprattutto secondo me alla vita politica e al senso civico del Paese, stimolando l'egoismo e la "pancia" più deteriore, mentre per il resto (economia, lavoro) l'Italia se la cava in sostanziale autonomia. E' un po' come diceva Mussolini: "governare gli italiani non è difficile, è inutile", poichè il Paese risponde poco agli stimoli ed è abbastanza impermeabile alla politica, va avanti di vita propria, abituato da millenni a tirare a campare al cambio di padroni e governanti. Comunque, dicevo, concordo con la visione del berlusconismo come "sistema" e non come semplice fenomeno politico legato a maggioranze e opposizioni.

Mi riallaccio qui alla lettera spedita due giorni or sono da Walter Veltroni, che secondo me evidenziava la crisi di crescita del PD, che non ha ancora capito cos'è. Io resto dell'idea che il Pd nasca da una buona intuizione, fondamentalmente giusta: quella di creare (finalmente) in Italia un partito socialdemocratico europeo, moderno. Perchè tutte le difficoltà? Forse per via del fatto che manca la controparte: un partito conservatore moderno. Il berlusconismo non ha dato sponda al Pd, lo ha costretto talora all'antiberlusconismo, che non è una politica degna di un grande partito nè - per sua natura - costruttiva, talaltra all'impotenza, all'indifferenza a Berlusconi, un po' come Veltroni stesso che non lo citava nemmeno in campagna elettorale. Tutto questo - entrambi gli atteggiamenti - però diventa impotenza legislativa (a suo tempo nessun governo di centrosinistra volle/seppe mettere mano al conflitto d'interessi) e subalternità: da quindici anni è Berlusconi a dettare l'agenda politica.