domenica 26 ottobre 2014

Aggiornamento sui Pilomat

E' stato distribuito il nuovo numero di Vivere Ospitaletto, il notiziario comunale.
Tra pagina 7 e 8 ci sono alcuni chiarimenti riguardo a quello che mi chiedevo nello scorso post sulla questione pilomat.

Anzitutto il costo: si tratta di 21mila euro.
Facciamo un conto della serva: supponiamo di impiegare questi soldi per pagare con dei voucher una persona che faccia la "guardia" alla transenna in piazza. Supponiamo un compenso di 10€ all'ora (l'importo di un voucher) per un impegno, la domenica mattina, di cinque ore. L'investimento si ammortizza in circa 8 anni, dopo questo termine i Pilomat cominciano a essere convenienti (senza considerare gli eventuali costi di manutenzione, guasti eccetera). E' chiaro che se le chiusure fossero più che una alla settimana questo periodo di ammortamento diventerebbe più breve. Al tempo stesso, però, bisogna dire che - nell'ipotesi di mettere i dissuasori laddove ora si pone la transenna - se la chiusura avviene per una manifestazione più grande, che richiede la chiusura completa del traffico (notte bianca, fiera del patrono), i piloncini sono inutili.
Comunque, le cose stanno così e ciascuno può farsi un'idea sul fatto che 21mila euro siano pochi, tanti o troppi.

Così come ciascuno può valutare se serva allungare la pavimentazione fino a vicolo Maggiore (ovvero nella zona della Lollipop). Attenzione anche a come vengono fatti i lavori: ai tempi di Pasini il primo tentativo di mettere per terra lastre eleganti fu un fiasco perché il lavoro non fu fatto a regola d'arte per una strada di buon passaggio come via Ghidoni.

giovedì 23 ottobre 2014

Sui famigerati Pilomat (e sulla comunicazione del Comune)

Io non ci ho capito molto su questo argomento. Non ho capito quant'è il costo: si sentono cifre molto diverse, da 10mila a 100mila euro. Non si capisce a cosa si riferiscano questi prezzi: solo all'installazione dei pilomat? Al rifacimento di tutta la piazza?

Fatto salvo che mi manca un elemento fondamentale, vediamo di ragionare.

martedì 14 ottobre 2014

Le prospettive politiche di papa Francesco

Sabato c'è stato l'avvio della scuola diocesana di formazione all'impegno sociale e politico.

L'intervento di monsignor Luciano è stato veramente notevole. Il nostro vescovo ha commentato la parabola del buon samaritano, applicando alcune categorie (il confine tra chi è il mio prossimo e chi non lo è, il rapporto tra la carità del sngolo e la carità organizzata) che ho trovato nuove e sorprendenti.

A seguire, Aldo Maria Valli ha tratteggiato gli orizzonti politici di papa Francesco, con un'interessante carrellata.
In questi giorni, inoltre, sto leggendo l'ultimo numero di Aggiornamenti Sociali, e l'editoriale riprende alcuni passaggi del Papa a tema economico e politico. Trovo una certa assonanza tra le analisi: Francesco declina la politica soprattutto in termini economici, ed è il Papa della globalizzazione: ha ben presente le profonde interconnessioni tra le politiche dell'Occidente e il resto del mondo.

Mi pare che queste due caratteristiche segnalino fortemente il suo essere sudamericano. Il Sudamerica è la patria della teologia della liberazione (con cui il Papa non c'entra, sia chiaro) e della teologia del popolo. Il Sudamerica è stato teatro di golpe e guerre civili conseguenza della Guerra Fredda e di interessi di parti remote del mondo.

In Europa, o nel cosiddetto Primo mondo, non siamo abituati a considerare i conflitti e le ingiustizie degli "altri mondi" come nostri. Non siamo abituati a riflettere sulla portata mondiale delle nostre piccole politiche. Il Papa ci richiama a questo. Porta uno sguardo diverso, dall'esterno.

E questo sguardo non è solo quello bonario e affabile con cui siamo abituati a vederlo. Le sue parole, sulla nostra economia che uccide, sui mercanti di armi, sul mercato senza regole, sono dure come pietre.
Probabilmente questo cambio di prospettiva è l'aspetto più rivoluzionario di papa Francesco, e il motivo per cui la sua elezione è stata provvidenziale. Altro che trovate come Il mio Papa o altre amenità da facciata esteriore.

mercoledì 8 ottobre 2014

Nostalgia canaglia

Qualche giorno fa si è parlato (per poco, in verità) del presunto calo di iscritti al Partito Democratico. Qualcuno ha ricondotto questo fatto allo svuotamento del ruolo dei partiti, qualcun altro all'annacquamento dell'identità di sinistra del PD. C'è senz'altro del vero in entrambe le posizioni: i partiti non sono più quel che erano una volta, ma sono ormai dei grandi comitati elettorali. Il contenuto di questi contenitori è abbastanza vago e ondivago.

Cambio di scenario: sabato ho partecipato al matrimonio del mio capo. Il sindaco che ha officiato la cerimonia, mentre leggeva gli articoli del Codice Civile, ha fatto un discorso sulla cultura civica nazionale, partendo dall'Illuminismo, le rivoluzioni francese e americana, attraverso il Risorgimento, la Resistenza, fino alla Costituzione.
Scopro da Wikipedia che costui è sindaco (in varie tornate) fin dagli anni '80. Mentre parlava me lo figuravo proprio come un repubblicano vecchio stampo, di quelli mazziniani, specie quando ha parlato male della monarchia, "che ha fatto tanti danni e ha portato alla dittatura".

Questo mi ha fatto pensare ai profili dei partiti storici italiani. Nei vituperati anni '70-'80 il panorama politico era tale che chi votava sapeva cosa stava votando: al di là delle persone (più o meno valide o lestofanti) il profilo ideologico era chiaro.

Avevamo il MSI, alfiere di una destra sociale e vagamente reducista; il PLI, una destra liberale; il PRI, una sinistra laica di radice non marxista; il PSI, socialista e non più marxista (negli anni '80 ormai liberaldemocratico); i Radicali, libertari.
A questi partiti si affiancavano i due grandi partiti popolari, DC e PCI, dai connotati meno chiari (per via delle dimensioni) ma pur sempre abbastanza definiti: moderato il primo, comunista il secondo.
Forse l'unico partito meno definito era il PSDI, una sinistra di governo come ormai il PSI, da cui si era infatti scisso.
Negli anni '80 si aggiunse l'unica famiglia politica relativamente "nuova", i Verdi.

Mi sembra che lo spettro politico fosse adeguatamente rappresentato: si sapeva dove si andava a parare. Forse mancava una destra moderata, inglobata nella destra DC, ma per il resto c'era di tutto.

Oggi i partiti sembrano invece essere o grandi contenitori con dentro di tutto un po' (il PD, il PdL-Forza Italia, per certi versi anche il M5S, che ha istanze di destra e di sinistra in un calderone di malpancismo) o partiti estemporanei, di cui non si riesce a leggere l'identità. Il Nuovo Centrodestra non ha un profilo chiaro, Scelta Civica nasce matà liberale e metà cattolica, Fratelli d'Italia nasce metà liberale (Crosetto) e metà sociale (Meloni), Sel è un partito personale che mischia ecologia e sinistra, la Lega ha un segretario ex comunista con atteggiamenti di destra.

Se è colpa delle categorie destra-sinistra che sono obsolete, bisogna dire che saranno anche invecchiate, ma di fatto non sono ancora state sostituite da nessuna identità. Secondo me questo è un problema: senza un'identità tutti possono dire tutto e il contrario di tutto, non ci sono riferimenti, mappe, orientamenti.

mercoledì 1 ottobre 2014

Da adulti

Tutto il dibattito che è sorto sul TFR mi dà l'occasione di dire due o tre cose sull'economia domestica in Italia che non ho mai capito.

Sul TFR: all'atto pratico non se ne farà nulla per i motivi che chi è più bravo di me ha prontamente fatto notare.
Ciò detto, ragioniamo in astratto: io sono favorevole al fatto che vada in busta paga. Dovrebbe essere responsabilità del singolo pensare a risparmiare qualcosa.
E' anche vero che poi, se qualcuno non risparmia - per necessità o per scialo, non importa ai fini del discorso - rischia di arrivare alla vecchiaia ancora più indigente di come ci arriverebbe con la liquidazione. A questo punto si aprirebbe il dilemma etico: quanto aiutarlo? Quanto se lo "meriterebbe"? Partendo dal presupposto che non si può lasciar morire di fame nessuno, "abolire" la liquidazione rischierebbe di creare un aggravio futuro per i servizi sociali. Però mi sembrerebbe un costo accettabile per creare una maggiore cultura della responsabilità. Chi percepisce uno stipendio non è più un bambino sotto tutela, dovremmo iniziare a trattarlo da adulto.
Tornando all'atto pratico, credo che rendendo facoltativo il fatto di averlo in busta paga e impostando un percorso di graduale riduzione del TFR accantonato (diciamo del 10% all'anno) si potrebbero evitare parecchi problemi che si stanno delineando. Ma sarebbe troppo ragionevole graduale e non darebbe la mancia imbonitrice scossa all'economia che ha in mente il Presidente del Consiglio.

Come non ho mai capito bene il TFR, ancor meno capisco la tredicesima. Che senso ha? favorire le spese a Natale? Ma se anche i soldi arrivassero spalmati sui 12 mesi, i casi sono due: o uno li spende durante l'anno, e allora sono comunque entrati in circolo già prima di Natale, o uno li accantona mese per mese, e allora a dicembre ha da parte la stessa quantità di denaro per i regali. In compenso sapere quanto uno prende è un po' più complicato, perché in realtà quando si parla di introiti mensili non si calcola mai la quota della tredicesima. Così confrontare lavori diversi (che magari ti danno anche la quattordicesima) o autonomi (che - va da sè - non hanno nemmeno la tredicesima) diventa più complicato.
Se parlassimo sempre di stipendio mensile effettivo, senza aggiunte varie, sarebbe molto più chiaro. Il regalo di babbo Natale, di nuovo,è una cosa più da bambini che da adulti.

Così come sarebbe un grande tributo alla chiarezza uniformare l'espressione di tutti i prezzi nella modalità comprensiva di IVA. Se andiamo al supermarket i cartellini danno il prezzo finale, IVA compresa; non ho mai capito perché invece in certi ambiti (gli artigiani, per esempio) il prezzo sia espresso senza IVA, da aggiungere poi. Tra l'altro dare un prezzo senza IVA è una specie di istigazione subliminale all'evasione, un non detto "guarda quanto risparmieresti se non ti faccio fattura".
Tutti i preventivi andrebbero sempre espressi IVA compresa.