lunedì 22 gennaio 2018

Filosofia a teatro

Sabato sera sono stato al teatro Agorà per assistere alla rappresentazione tratta da Il visitatore. Spettacolo molto interessante, certamente un po' impegnativo e difficile da digerire, richiede una attenzione costante nell'ascolto. Nei contenuti, nulla di esageratamente nuovo: le riflessioni sul ruolo di Dio nell'Olocausto, e più in generale sulla relazione tra Dio, male e libertà e tra onnipotenza, onniscienza e libero arbitrio sono state sviscerate a lungo, più o meno nei termini presentati dalla pièce. Secondo me ci sono un paio di contraddizioni sul fatto che Dio possa o meno conoscere il futuro, ma mi riservo di leggere il testo per verificare.

Stimolato dello spettacolo, mi sono lanciato in riflessioni riguardanti la natura umana e la politica. Alla richiesta di Freud di non permettere il male dei nazisti, o almeno di fermarlo, il visitatore risponde che Dio non può fare una cosa simile, e non avrebbe mai potuto farlo, a meno di non creare un automa, invece di un uomo.
Dio non può eliminare il male dalla terra. Questo non vuol dire che il male sia "obbligatorio", ma che è affidato alla libertà dell'uomo. Se questo sceglie il bene, il male non c'è.

Allora non possiamo chiedere alla politica di cancellare de iure il male dalla terra, di creare un mondo giusto per legge. Non può farlo Dio! Senza l'adesione degli uomini, ovvero dei governati, ogni legge è inutile.
Anche in questo caso, non vuol dire che la legge e la politica debbano abdicare alla loro funzione pedagogica, e cercare di "indirizzare", "favorire" il bene. Ma questo non si può fare senza un contemporaneo lavoro educativo sulla responsabilità delle persone. Se dopo un certo periodo di transizione le persone non saranno arrivate ad interiorizzare la prescrizione di legge, questa avrà fallito.

I sistemi politici che pretendono di imporre la virtù per legge, o di creare il paradiso in terra, sono antropologicamente sbagliati. Si arrogano un potere che non ha nemmeno Dio, e non rispettano la dignità dell'uomo nella sua libertà.
Questo non vuol dire che gli uomini non possono darsi leggi giuste: però deve succedere di comune accordo tra di loro. Attenzione a non confondere questo accordo con la decisioni democratiche: queste si basano sul principio della decisione a maggioranza, per cui una maggioranza (assoluta o, peggio, relativa) impone il suo concetto di bene a una minoranza. Quello che ho in testa io (spoiler: lo so che è un'utopia, si parla di forme ideali) è una comune ricerca del bene da parte degli uomini, che dopo aver valutato con coscienza rettamente formata la realtà scoprono la verità sul bene comune, e allora si danno delle leggi ed essa conformate. Per esempio le prime comunità cristiane mettevano in comune i beni non perché le obbligasse la legge, ma volontariamente.

Il principio di democrazia, come abitualmente interpretato in Occidente, si basa su due presupposti che - parlando antropologicamente - non posso accettare se non come "male minore": il relativismo (qualsiasi decisione della maggioranza è legge, è "giusta") e l'imposizione di questo relativismo - o meglio del "giusto relativo" stabilito con votazione - a tutti.
Idealmente io penso a un uomo che liberamente sceglie la strada da seguire, nella ricerca di scoprire la Verità, e sempre liberamente cerca di conformare la vita propria e della propria comunità a questa Verità.

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